mercoledì 21 maggio 2008

I wanna have a dream

(nota sull’articolo “I Have a Dream” del prof. Benedetto De Bernard)

L’autore dell’articolo propone le proprie considerazioni riguardo ad un modello ideale di didattica, trasversalmente applicabile per alcuni aspetti, ma nello specifico mirato all’ambiente della formazione universitaria medica, appoggiandosi alla propria esperienza pluridecennale di insegnamento accademico, motivato dal proprio interesse personale per le questioni della didattica. La passione e la convinzione con cui rappresenta la sacralità del momento formativo, dell’opera di costruzione da parte degli insegnanti intenti a edificare la preparazione degli allievi, sono evidenti e sufficienti, anche oltre l’ufficialità delle estese credenziali accademiche dell’autore, a imporre almeno una reverente ed attenta riflessione. Come non condividere in astratto le tesi proposte?
L’atto della formazione è sacro, perché rappresenta la donazione della ricchezza più alta, quella del lume dell’intelletto; né quindi l’immagine del tempio in luogo dell’ateneo può essere considerata allegoria, semmai una convinta metafora.
Ecco che per il docente diventa scontata la preparazione, mentre egli deve dare prova di amore intenso, e per l
a materia che insegna, e per l’atto stesso di insegnare. Perché solo questa intensa spinta emozionale può essere recepita con altrettanta forza dagli studenti discepoli, diventando un vettore efficace del sapere.
E il risultato del processo formativo è infatti proporzionale proprio alla capacità di sintonia emozionale che si stabilisce nella classe. I modelli di lezione sono tutti validi, ma resta il primato della lezione tradizionale,
l’esposizione pressochè unilaterale [comunicazione simplex, ndr] dalla cattedra, quale momento di massima espressione della conoscenza presentata nel modo più direttamente fruibile, perché possa essere assorbita dal discente, affascinato dall’autorevolezza e dal sentimento dell’insegnante. Per prolungare questa fase fondamentale del processo formativo si suggerisce quindi di consolidare le discipline di base e le capacità operative indispensabili, prima di addentrarsi nell’ambito della specializzazione e dell’uso degli strumenti che la tecnologia offre; questo per non compromettere la capacità di autonomia individuale, unico soccorso che il medico potrebbe trovarsi ad avere nel corso della propria attività professionale. E l’operatività si accompagni al contatto diretto col paziente, al più presto, perché sia ben presente quale è il vero scopo dell’attività di formazione del medico, ovvero solo ed esclusivamente il sollievo di chi soffre.
I peccati capitali del medico sono anch’essi riconducibili a perdita di affetto.
L’obsolescenza professionale, la perdita di aggiornamento, discendono dall’indolenza che si insedia, come un cuculo, nel nido della passione per la propria missione; l’avidità ne rappresenta la stessa antitesi.
Per sviluppare un modello di didattica coerente con questo sogno, si ha necessità di un sacerdote massimo, il preside, che sappia designare i docenti giusti, che sappia sorvegliare il conseguimento del risultato formativo, che sappia creare un a
mbiente di stimolo alla liberalità ed all’etica. L’autore ci dice che questo è il suo sogno. Possiamo negare che sia un bel sogno?

Alex



(parole: 445 escluso titolo, nome e note)

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